Innovazione e ricerca come driver dello sviluppo del manifatturiero in Italia: il contributo del sistema MEC (Moda – Energia ‐ Chimica)
L’attività innovativa delle imprese rivolta all’adozione di tecnologie avanzate o all’introduzione di mutamenti organizzativi per la realizzazione di nuovi processi e nuovi prodotti e servizi, accresce il livello di efficienza e produttività e consente alle imprese di mantenersi competitive. Senza l’innovazione, quella che Schumpeter chiamava la “distruzione creativa”, finalizzata a cambiare regole e tecnologie, viene meno la capacità stessa dell’impresa di generare utilità e di valorizzare il lavoro e si interrompe lo sviluppo e l’evoluzione dei mercati.
Queste affermazioni, ampiamente condivise in letteratura, diventano ancora di più argomento da cui non si può prescindere, all’interno di uno scenario in cui la sostanziale apertura alle produzione dei paesi di nuova industrializzazione, l’entrata della Cina nell’OMC, l’intensificazione delle strategie di internazionalizzazione commerciale e multi‐localizzazione delle imprese, assieme ai straordinari avanzamenti di importanti piattaforme tecnologiche (quella dell’ICT in testa), hanno provocato un sostanziale spiazzamento delle imprese manifatturiere dei paesi avanzati sui prodotti di base, costringendoli a procedere ad una ridefinizione e potenziare della propria value proposition, che ha fatto assumere all’innovazione, sia quella ascrivibile alle caratteristiche intrinseche dei prodotto e dei processi, sia quella ascrivibile agli elementi immateriale di tipo gestionale, commerciale e dello stesso prodotto, un ruolo centrale all’interno della piattaforma strategica con cui costruire un posizionamento competitivo capace di garantire sviluppo.
All’interno di questo quadro, e nonostante l’incalzare della competizione globale che segnala un crescente rafforzamento del posizionamento dei paesi di nuova industrializzazione anche sui segmenti di prodotto a maggior valore aggiunto, il nostro paese caratterizzato da un sistema economico a forte vocazione manifatturiera, composto principalmente da piccole e medie imprese, ha intrapreso, proprio negli ultimi decenni, la strada dell’innovazione “informale” più che quella fondata sulla ricerca scientifica e tecnologica più avanzata e appunto formalizzata: migliorie e modifiche tecniche di prodotti o di processi preesistenti, innovazioni organizzative soft, costituiscono quindi, quell’approccio innovativo, certamente di “second best”, su cui larga parte del sistema produttivo nazionale si è garantito l’aumento della produttività e la difesa del suo posizionamento competitivo, rinunciando invece ad alimentare il proprio sviluppo attraverso quell’innovazione che fa leva sui gradi progetti di ricerca formalizzata (la quota di spesa in ricerca e sviluppo a livello nazionale è ormai ai minimi europei essendo pari all’1% del Pil ).
Il sistema manifatturiero Italiano a bassa intensità di spese per ricerca, ha così continuato comunque a introdurre nuovi prodotti ogni anno, in qualche misura qualitativamente superiori ai precedenti, ottenendo, come afferma anche l’indagine Invind della Banca d’Italia, risultati di fatturato, valore aggiunto e produttività in relazione a questo tipo di innovazioni: le piccole e medie imprese che nell’affrontare la competizione del mercato globale anche all’epoca della crisi hanno incrementato la qualità dei prodotti nel 2008 sono state addirittura il 71%.
Ma nonostante questi risultati, è ormai evidente il rischio di deficit di competitività di uno sviluppo italiano, che sotto certi aspetti è stato forse fino a ieri troppo facile, per dover prestare attenzione a fattori difficili come la ricerca e la tecnologia1.
Innovazione e sostenibilità - Ares2.0
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